scritti teorici / riflessioni sulla pittura metafisica e surrealista


Si è recentemente tenuta a Roma una mostra intitolata Metafisica.


Nei miei scritti su Piet Mondrian mi occupo anche della pittura metafisica e del surrealismo. Io non sono un critico d'arte bensì un artista. Quando scrivo, lo faccio essenzialmente per spiegare le ragioni dell'occhio e difendere quelle che io, oggi, considero essere le ragioni dell'arte. Dopo aver visto la mostra, ho riletto ed aggiornato le mie riflessioni che propongo qui con l'intento di offrire un approccio diverso da quello che la critica ufficiale ha fornito. Qui iniziano le mie riflessioni:


Noi ricordiamo Giorgio De Chirico per delle opere realizzate intorno al 1915; opere che vanno sotto il nome di pittura metafisica.

Nei dipinti così chiamati, si vedono scenari urbani sospesi in un tempo immobile, piazze deserte, architetture vuote, statue, torri e manichini. Altre tele presentano, invece, degli ambienti di vario tipo in cui si vedono mappe, squadre, righelli e macchinose costruzioni geometriche.


Sullo sfondo degli scenari urbani una locomotiva fumante appare come l'unico elemento dinamico in un mondo di oggetti fermi.
La locomotiva rappresenta il movimento meccanico, la tecnologia, il progresso che costituiva in quegli anni, soprattutto per i futuristi italiani, il motivo centrale dei loro dipinti. La locomotiva è un simbolo dei dinamici ritmi che la vita moderna porta con sé.
In altri dipinti metafisici pare di vedere una natura striminzita: della frutta su di un tavolo, due carciofi inseriti in improbabili scenari oppure un'umanità impietrita evocata da manichini o, ancora da una figura umana che si compone ormai di soli frammenti tecnologici. Ciò che vediamo non è più un essere umano ma un'impalcatura d'uomo. In questi dipinti il cielo è spesso scuro, anche di giorno.

Le macchinose costruzioni geometriche, le squadre, le ciminiere e le locomotive sono simboli del moderno mentre, tutto il resto nei quadri di De Chirico proviene da un mondo antico: le architetture classicheggianti, le colonne, i capitelli, i monumenti, i busti di gesso.
Spesso la locomotiva si nasconde dietro ad un muro, quasi a significare che la tecnologia sia un elemento estraneo e misterioso.
Con quel muro, il pittore sembra volerci dire che non c'é possibile comunicazione fra le gloriose testimonianze di un mondo antico ed un'incalzante, meccanica e prosaica realtà moderna.


Effettivamente, a cavallo dei due ultimi secoli la realtà cambia in modo drastico. Soprattutto nelle città, l'illuminazione elettrica, i nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto mutano le abitudini ed imprimono accelerazioni mai prima sperimentate dagli uomini. I progressi introdotti dalla tecnica mutano i rapporti sociali, economici, politici ma, soprattutto, essi contribuiscono a mutare il rapporto ideale dell'uomo con il mondo. Agli inizi del Novecento, la filosofia, la scienza ma soprattutto i nuovi ritmi di vita urbana, che nascono sull'onda della crescente velocità meccanica, minano alle fondamenta alcune certezze fra cui quella dello spazio pittorico che si fonda sulla prospettiva, un modo di rappresentare il mondo nato tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento. Un modo di dipingere che, ancora oggi, noi comunemente identifichiamo con termini quali pittura realistica, figurativa o rappresentativa.

Lo spazio prospettico è un sistema di rappresentazione visiva che si basa su di un rapporto costante fra un osservatore che sta fermo in un determinato punto ed un oggetto od una serie d'oggetti o un paesaggio, anch'essi pressoché fermi, di fronte all'osservatore. A quel tempo, ci si muoveva al passo dell'uomo ed a tale velocità, il mondo appare quasi fermo. Agli inizi del Quattrocento si aveva bisogno di credere che l'universo fosse misurabile, governato dalla simmetria e che l'uomo ne fosse il centro. Il punto di fuga della prospettiva rinascimentale non è altro che la proiezione sulla superficie dipinta della postazione fissa dalla quale l'uomo ha creduto di poter osservare e conoscere una tantum l'universo. Tutto il mondo visibile converge verso quel punto.

Verso la fine dell'Ottocento, in un mondo che ha preso a muoversi a velocità crescente, tutto ciò inizia a vacillare. Soprattutto nelle città, i nuovi ritmi di vita accelerano i rapporti fra l'osservatore e la scena osservata. La secolare, statica permanenza del mondo tende a diventare un'effimera presenza di scorci che si trasformano l'uno nell'altro. Un volto, un albero, una casa, un paesaggio appaiono in mille modi diversi. Il mondo classico, con i suoi spazi certi e misurati, si disintegra. Pittori come De Chirico registrano tutto ciò con malinconia. L'essenza della pittura metafisica è questa malinconica, triste nostalgia per un mondo che, sotto i loro occhi, si va sgretolando.
Già gli Impressionisti e poi i Cubisti, accolgono invece gli stimoli della nuova nascente realtà con interesse e partecipazione.
I metafisici ed i surrealisti sono invece combattuti fra la percezione del nuovo e l'incapacità di cambiare un sistema di rappresentazione visiva collaudato da secoli. Essi continuano ad usare un linguaggio, pur rendendosi conto che esso sta diventando obsoleto. Da questo conflitto interiore scaturiscono le distorsioni prospettiche, i cieli oscuri, le illusioni ottiche, le ambigue realtà di quadri dentro ai quadri.
I paradossi visivi, ai quali i pittori metafisici e surrealisti sottomettono lo spazio delle loro tele, sembrano un'implicita ammissione della difficoltà di esprimere una nuova realtà con i tradizionali mezzi della pittura. Le prospettive impossibili, le piazze desolate su cui si allungano ombre di oggetti che il dipinto non ci mostra; ombre inquietanti di una realtà incombente che la pittura non riesce più a comprendere. Significativo mi pare un dipinto di De Chirico in cui si osservano dei guanti appesi che sembrano una metafora di mani che non sanno più cosa fare. Renée Magritte dipinge molto fedelmente una pipa e poi, sotto il quadro, scrive: "Ceci n'est pas une pipe" (Questa non è una pipa). Con un simile paradosso egli ci vuole dire che l'immagine di un oggetto, quando anche reso con tutta la possibile fedeltà, non è il vero oggetto. La realtà sfugge a ciò che si è creduto essere la sua rappresentazione.


Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, gli artisti sentono che la pittura realistica o figurativa non riesce più ad esprimere adeguatamente un mondo che si muove moltiplicando senza sosta le sue apparenze. I pittori Impressionisti e poi quelli Cubisti, intuiscono che se la loro arte vuole rappresentare la nuova realtà, essa dovrà mutare i presupposti su cui si fonda. I cubisti ed i futuristi italiani si accorgono che il fattore che sta cambiando tutto è la velocità con cui ormai l'uomo contemporaneo percepisce il paesaggio, soprattutto quello urbano. Questi pittori affrontano la sfida e capiscono che bisogna mettere tutto in gioco, soprattutto, occorre mettere in gioco la postazione fissa da cui, per almeno quattro secoli, l'uomo ha osservato e creduto di conoscere il mondo. L'opera di Cézanne è la chiave di volta che dal passato getta un ponte verso il futuro; verso un nuovo modo di vedere che, attraverso l'opera dei cubisti, giungerà a maturazione solo con il Broadway Boogie Woogie, ultima tela dipinta da Piet Mondrian nel 1943. Cézanne muore nel 1906. Nel 1905 Albert Einstein sostiene che spazio e tempo sono indissolubilmente legati. Le ultime tele di Cézanne sono già cubiste. Nelle prime opere cubiste di Braque e Picasso la quarta dimensione (il tempo) si lega allo spazio e, sulla tela, un oggetto prende tutte le forme che appaiono mentre lo si osserva da una postazione mobile. Quelle strane facce con tre, quattro, cinque occhi e quell'unica bottiglia che sembra moltiplicarsi sotto lo sguardo di un osservatore che gli gira intorno.

 

Il mondo statico evocato da De Chirico è solo un ricordo. Il suo universo immobile di oggetti stanchi è il canto del cigno di un mondo che va scomparendo. L'avanguardia è un'altra cosa. Il cubismo, il costruttivismo, un certo futurismo guardano avanti. Da lì parte Mondrian che riesce a ricostruire uno spazio classico su basi completamente nuove. Il pittore olandese trasforma il punto di fuga della prospettiva rinascimentale (un punto fisso) in un rapporto (le rette perpendicolari), vale a dire, in un punto mobile. Tutto il mondo visibile converge ora verso un punto mobile e dunque non più assoluto come il punto di fuga dello spazio prospettico.
Se la realtà moderna poggia sul movimento, sulla simultaneità e sulla complessità, non ci si poteva augurare di meglio che qualcuno si preoccupasse di adattare le coordinate dello spazio antico a quelle dello spazio reale in cui noi oggi, di fatto, viviamo.
Adottando un punto di vista mobile, la pittura riesce di nuovo a sintonizzarsi con i fenomeni reali. La realtà si diversifica e diventa sempre più complessa ma la pittura ne segue le variabili forme. Astraendo dalle apparenze, la nuova pittura riesce a rappresentare tutta la complessità senza restare con il naso appiattito sulla miriade di mutevoli aspetti particolari che inibiscono una visione di più ampio respiro.
Oltre al fisico, c'è ancora fisico. Non vi è alcun bisogno di superare il reale verso un mondo surreale poiché oltre la realtà, per chi sa vedere, c'è ancora e sempre la schietta, bruta e sana realtà. Basta osservare con le lenti giuste.

La storia dell'uomo dimostra che magie, misteri, enigmi ed illusioni ottiche possono servire per tentare di metabolizzare una realtà che ancora non si riesce a comprendere, ma non per compiere progressi reali. Nella storia dell'uomo ci sono sempre stati quelli che guardano avanti e quelli che frenano; in politica si direbbe progressisti e conservatori anche se oggi questi termini sembrano non essere più sostanziati da un'autentica visione ideale. La pittura di De Chirico, Magritte, Dalì, Ernst ha chiuso gli occhi di fronte alla nuova realtà rincorrendo sogni e miti passati. Cézanne, Matisse, Malewitch, Kandinski, Mondrian hanno accolto il nuovo e la loro arte ha tracciato nuove vie. Sperimentare, inventare. Non fu questo la quintessenza dello spirito rinascimentale? L'audacia compositiva di Giotto, la curiosità intellettuale di Paolo Uccello, la sublime composizione di Piero della Francesca, la sete di conoscenza che mosse Leonardo da Vinci.


Chi, come tanti in Italia, esalta il Rinascimento, restando ancora oggi attaccato ai suoi stereotipi formali, in realtà lo nega nella sostanza, mortificandone lo spirito più vero che fu quello di innovare e non già di conservare.
Sono molto più rinascimentali Cézanne, Matisse, Mondrian e coloro i quali oggi sanno proseguire sul cammino dell'arte nuova, di quanto non lo siano tutti quelli che, in un passato recente e tutt'ora, credono di poter rappresentare il mondo usando un linguaggio e tutte le sue svariate riedizioni (naturalismo, realismo, iperrealismo, neo-espressionismo, neue wilde, ecc. ecc. ) che si basano su di un presupposto, ormai infondato, come quello dello spazio prospettico. Cinquecento anni dopo si può essere degni della grande tradizione passata solo se se ne condivide lo spirito di scoperta, invenzione e progresso e non già ripetendone passivamente le forme esteriori.
Con le sue locomotive che attraversano immobili scenari, De Chirico sembra avvertire il subbuglio che la vita moderna porta con sé, ma a questo egli si oppone chiudendosi in una specie di ultima roccaforte del mondo passato. Analogamente faranno - sul piano politico, economico e sociale - coloro i quali, nella Germania, l'Italia e la Spagna degli anni trenta, opporranno un netto rifiuto ai prorompenti cambiamenti sociali, economici e politici avviati, nel secolo precedente, con la rivoluzione industriale.

Quando in Italia si parla di democrazia, si dimentica che essa si nutre anche di idee e l'arte, prima di ogni altra cosa, è pensiero.
La pittura è attività mentale diceva Leonardo. La pittura metafisica è l'espressione plastica di un pensiero reazionario e conservatore che apparentemente celebra ed in realtà offende lo spirito più vero e fecondo del pensiero classico.
Difficile immaginare che cosa si possa inventare con quei rottami del passato.
Certamente la metafisica ed il surrealismo hanno avuto il pregio di esprimere un malessere, ma l'arte non può essere solo denuncia.
L'arte deve saper anche accogliere le nuove istanze ed essere proposta per il futuro; l'arte deve saper costruire.


La metafisica a Roma; Sironi a Bologna. Da questo punto di vista, il futuro degli italiani non appare molto promettente.


Non mi stupisco nel vedere certi politici italiani proporre al Parlamento Europeo Giorgio De Chirico come simbolo della cultura europea. Per fortuna non gli si da gran peso ma ciò é un'ulteriore conferma della superficialità (per usare un eufemismo) che oggi regna in Italia sopra la cultura visiva. Siamo ormai ben lontani dallo spirito rinascimentale di cui tanti parassiti, che non fanno proprio nulla oggi per l'arte, si sentono eredi. Non si tratta qui di sinistra o di destra, poiché entrambe le parti si dimostrano alquanto incapaci di promuovere nuove idee. In questo, il mercato internazionale gli da una mano con tutta la recente fiera di Neo Trans e Post che, in sostanza, vogliono tutte dire: incapacità di formulare visivamente il presente. Ma qui si esce dal mondo della cultura per entrare in quello del commercio, delle mode, degli azzeccagarbugli della cultura spettacolo che devono far funzionare il grande e redditizio circo del consumo a cui partecipa ignara una gran massa di gente che potrebbe, invece, capire e godere fino in fondo dell'arte moderna e contemporanea se una vera opportunità in tal senso gli venisse offerta.

"Dite ai giovani artisti che il mestiere di pittore non ha niente a che vedere col dilettantismo ed è assolutamente refrattario a storie di moda, di bluff o di speculazione. La coscienza dell'artista è uno specchio puro e fedele dov'egli deve poter riflettere la sua opera, ogni giorno, appena alzato, senza timore di arrossirne. La responsabilità permanente del creatore verso se stesso e verso il mondo non è una parola vuota: aiutando l'universo a costruirsi, l'artista mantiene la sua dignità personale" Henry Matisse ad André Verdet nel 1954 (Escholier 1956)

La recensione che ho letto su Repubblica Arte vanta un allestimento della mostra metafisica "scabro ed essenziale, dove gli apparati didattici sono inesistenti per evitare di intaccare una lettura drastica e netta del percorso".
Io credo, invece, che le mostre d'arte ed i mezzi di comunicazione di massa dovrebbero prodigarsi per far capire e non solo per intrattenere anche se, posso ben immaginare che nel caso della mostra in questione si preferisca tacere. Voltaire diceva che il sonno della ragione genera mostri. Anche l'arte potrebbe contribuire a risvegliare la ragione se alla funzione didattica, che ogni mostra d'arte dovrebbe avere, fosse attribuito un peso maggiore.

Peccato che tante occasioni e tante risorse pubbliche vadano sprecate.

Michael Sciam 2003


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