scritti teorici / lettura dinamica dello spazio urbano

La stesura di questo saggio risale agli inizi degli anni novanta ed è stato pubblicato sulla rivista “L’Architettura” nel mese di Settembre del 1994.
Il saggio tratta la forma delle automobili da un punto di vista architettonico ed urbanistico.
Sebbene i modelli d’automobile presi a campione siano ormai obsoleti, le riflessioni sviluppate nel saggio sono, a mio modo di vedere, ancora attuali.


Il paesaggio naturale, i sentieri, i vicoli, le prime case con le strade, le piazze e gli edifici principali: lo spazio della città antica; un tessuto organico e continuo fruito dall'osservatore umano a velocità lentissime (l'andatura dell'uomo o al massimo quella del cavallo) che mantengono le mutazioni del paesaggio circostante ed i suoi riflessi su chi le osserva, cioè a dire il rapporto fra soggetto ed oggetto, a livelli pressoché costanti.
Ciò suggerisce permanenza e durata e, in genere, ciò che dura appare all'uomo più vero.
Le piazze pullulano di gente ma tutto è tenuto insieme da stesse omogenee velocità, da mutazioni lente e graduali che accomunano le esperienze e lasciano il tempo per l'osservazione e la comunicazione.


Con l'avvento dei mezzi meccanici si introducono sulla scena urbana varie velocità e dunque varie nozioni di spazio/tempo.
Il senso di permanenza e durata evocato dall'architettura costruita viene quasi del tutto annullato da un flusso di volumi semoventi che, soprattutto nei centri storici, appare oggi preponderante. Con la progressiva diffusione dell'automobile, l'omogenea continuità della città antica si frantuma in una miriade di parti a sè stanti di forme e colori diversi.
Oggi noi viviamo sempre più lo spazio per frammenti, attimo dopo attimo senza più riuscire a vedere le parti come un tutto.
Attualmente, lo spazio urbano ad altezza d'uomo non è mai lo stesso per più di un minuto.
Come si può contemplare e sentire proprio un paesaggio che ad ogni istante è già diverso? E non solo nel traffico, ma anche nello spazio sociale (televisione e stampa), siamo martellati da un'enorme quantità di messaggi scoordinati che non durano più di tanto.
A partire dalle sue manifestazioni più immediate come la scena urbana, fino a quelle più complesse della sfera sociale, lo spazio contemporaneo, produce un'impressione di non-durata che evoca un'idea di non-vero.
La costante sollecitazione prodotta da un universo di parti in continuo movimento ci obbliga a leggere tutto sbrigativamente, attitudine questa, che si traduce spesso in un atteggiamento superficiale nella vita in genere. Senza rendersi conto, la prima sensazione prodotta dallo spazio fisico finisce per influire sul nostro modo di pensare le questioni più generali dell'esistenza. Credo quindi che sia necessario partire dallo spazio fisico immediato per poter poi risalire ad un senso generale della vita collettiva.
Bisognerebbe far durare più a lungo lo spazio fisico nel quale quotidianamente viviamo per poter riuscire a pensare nuovamente la sostanza delle cose. Ma farlo durare non può più significare fermarlo.
Se non si può eliminare il movimento meccanico e ritornare ai ritmi del pedone e del cavallo (ed ai più statici e quasi monolitici valori sociali connessi a quel livello di tecnologia) , si può invece, più realisticamente, tentare di riorganizzare il movimento caotico in ritmo armonico, intendendo per armonia, un più equilibrato rapporto fra le parti ed il tutto, fra spazio dinamico e spazio relativamente statico, fra aspetto mutevole della realtà fisica ed un senso di maggior costanza richiesto dalla coscienza.
Senza annullare il livello di molteplicità e dinamismo raggiunto dalle società attuali si deve oggi poter dar vita ad una visione d'insieme che, raggruppando i frammenti sparsi in strutture più omogenee, consenta uno sguardo di maggior respiro e durata.
L'esigenza attuale di ritrovare dei valori non è solo una questione di contenuti ma, secondo me, prima ancora è una questione di forma (per chi crede ancora nella distinzione). Si tratta insomma di ristabilire equilibrio fra dati effimeri del quotidiano e questioni eterne ma non come alcuni vorrebbero, guardando al passato.
Potrà sembrare irriverente, ma credo invece che sia necessario partire dal presente, dallo spazio fisico quotidiano dove tutto è ormai in continua trasformazione.
Una componente essenziale dello spazio urbano contemporaneo sono le automobili, ovvero, dei volumi semoventi. di forma, proporzione e colore diverso che occupano costantemente il nostro campo di percezione. Io credo che, come ogni forma dello spazio - più o meno consapevolmente - esse influiscano sul nostro modo di pensare. È dunque anche e soprattutto da questa architettura mobile che bisogna partire per tentare di riorganizzare il mutevole paesaggio urbano.


La recente evoluzione formale delle automobili si può sintetizzare in due punti sostanziali:


- riduzione e giustapposizione dei dettagli a formare patterns più sintetici.
- aumento di volume verso la parte posteriore del veicolo.


Prenderò in esame i due esempi a mio giudizio più interessanti : Alfa Romeo 164 ed Autobianchi Y10.


Se prima ogni automobile aveva quattro lati ben distinti: lato frontale, lati laterali e lato posteriore, ora i quattro lati tendono ad integrarsi per esprimere una continuità di tutto il volume (Fig. A). La tradizionale netta cesura fra lato frontale e cofano vano motore diventa un passaggio graduale in cui le due parti diventano una. Lo stesso si può osservare nei recenti modelli Mercedes /Peugeot /BMW.


Anche i lati tendono a compenetrarsi tramite un'unica fascia ed una linea sovrastante che avvolgono l'intero volume senza mai interrompersi.


L'occhio è tenuto in equilibrio dinamico da quella linea che non smette di continuare tutt'intorno all'oggetto (Fig. B). Da fermo il volume appare già in movimento.

I paraurti, che prima erano parti staccate ed aggiunte, sono ora inglobati nella scocca e ne diventano parte integrante. Varie decorazioni in nichel così come altri particolari non essenziali, vengono progressivamente eliminati.
Le linee di cesura fra una parte e l'altra (gli sportelli, il cofano, il bagagliaio etc.) si riducono integrandosi fra loro. Si osservi come la fascia luci e la marcatura trilineare sul fascione paraurti sottendano ad una stessa proporzione (Fig. C).


(Fig. D) Le due maniglie degli sportelli sono della stessa proporzione degli interspazi che corrono fra le cesure degli sportelli stessi ed i loro cristalli. (1)
Il «deflettore» del cristallo si trova a filo con l'angolo di richiusura abitacolo, la maniglia ed il profilo del parafango ruota (2).
La cesura dello sportello e il cerchio del tappo serbatoio sottendono ad una stessa linea (3).
Nei modelli del passato le linee di cesura si ripetevano frazionando lo spazio.

Il tappo del serbatoio benzina si trova in linea con la prosecuzione della linea diagonale che richiude il volume dell'abitacolo.
Si tratta di soluzioni che contribuiscono ad integrare ed armonizzare fra loro le singole parti generando una visione unitaria della molteplicità.


Osservando Alfa 164 in movimento, percepiamo nell'arco di qualche secondo un volume che scorre e si trasforma. Un elemento si mantiene tuttavia costante: una linea che non offre soluzione di continuità avvolge tutto l'insieme esprimendolo unitariamente. Da qualsiasi punto di vista si osservi Alfa 164, quella linea è sempre visibile e da qualsiasi punto di vista essa allude all'intero volume. Sul retro il marchio Alfa stà nel centro della fascia luci. Osservando attentamente, notiamo che detta fascia si divide in misure proporzionali. (Fig. E)


Considerando in sequenza: l'intera fascia luci, i suoi due quadrati bianchi soprastanti la targa ed infine il marchio, vediamo una linea, proveniente dai lati, che sul retro si concentra in un segmento (la targa) e poi in un punto (il marchio). Questo si viene a trovare nel centro di una simmetria prodotta dalle scansioni proporzionali dellla fascia luci.
La linea scorre asimmetrica intorno a tutto il volume e poi diventa un ritmo regolare e simmetrico, ovvero, uno spazio misurato e tendenzialmente statico sebbene pur sempre all'interno di un continuum dinamico (la linea che non smette di continuare). Un intervallo di spazio simmetrico all'interno di un continuum asimmetrico. Nel suo scorrere, questo volume trasforma per un istante l'asimmetrico in simmetrico, il dinamico nel relativamente statico. Si rifletta sul fatto che ciò avviene quando noi seguiamo l'auto e, sebbene in movimento, instauriamo con essa un rapporto percettivo costante. In questa situazione il volume produce simmetria, cioè a dire, la mutazione dello spazio si riduce a valori minimi.


Immaginando il volume in rapida sequenza: Nella parte anteriore, il triangoloide con il marchio Alfa si prolunga sul cofano e sembra dare inizio al volume espandendolo verso i lati. Dai due fanali anteriori parte la linea che, senza mai fermarsi, scorre sui lati ricongiungendosi poi sul retro dove i due fari anteriori diventano un'unica fascia. La dualità diventa unità. Il frammentario si ricompone e dura.
Davanti il triangoloide con il marchio apre dunque il volume dando inizio alla dinamica sequenza dell'oggetto mentre, sul retro, lo stesso marchio - punto centrale di una simmetria - tende idealmente a chiudere e sintetizzare il tutto. Come un punto (il marchio anteriore) che sboccia in una molteplicità di parti (tutto il volume) che poi si risintetizzano nel punto iniziale (il marchio posteriore). Ciò si percepisce solo integrando tutti i lati e vedendoli come un' unica sequenza di spazio.
Diversamente accadeva con le automobili precedenti dove ogni parte ed ogni lato rimaneva staccato dall'altro inibendo così una visione compenetrata del tutto L'oggetto restava somma di parti separate disgregando lo spazio e lasciando il campo visivo dell'osservatore frammentario e ridondante. È questo l'aspetto importante che mi preme sottolineare: la forma di Alfa 164 stimola l'occhio verso una lettura dinamica ed interconnessa dello spazio. Ogni parte rimanda all'altra in un gioco di relazioni che, viste in sequenza, danno vita ad un unicum. Ogni dettaglio anticipa e diventa quello successivo. La varietà di parti si sintetizza in un unico più semplice pattern che rende lo spazio psicologicamente più fluido.


In Y10 (Fig. F) una linea parte dal fanale anteriore e lungo il cofano cresce di spessore. Raggiunta una certa misura, la proporzione si mantiene costante per tutto il suo successivo sviluppo; intorno ai cristalli e fino alla parte posteriore la misura non cambia. Uno spazio nitido. La misura si ripete nella maniglia dello sportello così come anche sulla fascia nera posteriore che scende fino al blocco luci (Fig. G)


Una stessa proporzione unisce e rende omogeneo lo sviluppo delle parti.


Il lato posteriore forma un angolo retto con quella linea che sale. Queste due sole linee esprimono in sintesi l'intero oggetto. L'angolo retto che lega le due direzioni rende ben solido il loro rapporto e suggerisce all'occhio una semplice struttura del tipo (Fig. H). Questo è il segno predominante che nella frazione di secondo caratterizza l'intero volume.


Si osservi (Fig. G) come tre fasce di quella stessa proporzione convergano in uno stesso punto. Al loro incontro tutte assumono lo stesso valore.
In quel punto nessuna mutazione avviene e lo spazio si mantiene omogeneo e costante. Le tre entità si incontrano ma sembra che nessuna smetta di continuare oltre quel punto d'incontro. Le tre fasce sembrano rispondere ad una dinamica continuità dello spazio in sé (un modulo dello spazio indipendente dall'oggetto) più che all'esigenza del volume di riplasmarsi e chiudersi.
Il modo in cui le tre parti si combinano fa sì che proprio in quel punto in cui lo spazio dell'oggetto sta finendo, esso tenda psicologicamente a durare.


Così come in Alfa 164, anche in Y10 le parti si integrano e si uniformano per esprimere il molteplice in sintesi.


Ma perchè questa esigenza di sintetizzare la molteplicità e vedere tutto nell'attimo?


In virtù delle ridotte velocità, nello spazio antico gli oggetti si fruivano molto più gradualmente e si aveva il tempo di soffermarsi su tutti i loro particolari. Ogni oggetto rivelava una quantità di dettagli, quasi un mondo a sé.
Oggi ci passa davanti una miriade di oggetti diversi. La maggiore quantità di dettagli implicherebbe maggiori tempi di lettura e con i ritmi attuali, avremmo sempre l'impressione (come in effetti spesso accade) di una mancanza di tempo.
Se ogni oggetto dura oggi solo qualche secondo sarà necessario poter vedere tutte le sue parti nell'attimo, vale a dire, tornare a far coincidere spazio e tempo.
Ridurre ed integrare fra loro la quantità di dettagli diventa indispensabile per poter alleggerire visivamente lo spazio che in quel momento l'oggetto occupa e ciò consente all'osservatore uno sguardo più ampio verso altri oggetti più che fra le parti di ogni singolo oggetto.
Tornare a vedere lo spazio urbano come un continuum di parti interconnesse piuttosto che fermarsi e circoscrivere lo sguardo su ogni singolo oggetto che appare ormai solo come la millesima parte di un tutto. Automobili private, mezzi pubblici, volumi architettonici, vetrine, cartelloni pubblicitari e segnaletica varia: bisogna poter ritrovare un certo grado di sintesi, un denominatore comune in tutto questo aspetto molteplice. Senza considerare la quantità di immagini prodotte dalla stampa e dalla televisione.
La varietà è senza dubbio salutare ma, superando certi livelli, può degenerare in caos.
Bisogna quindi poter ricomporre la molteplicità di parti in insiemi più omogenei. Pur mantenendo la più ampia possibile variazione, bisogna allo stesso tempo poter integrare ed unire: in una parola, bisogna poter ristabilire continuità dello spazio esterno che significa in sostanza maggiore integrità ed armonia dello spazio interno, cioè a dire, della coscienza. Non è solo una questione estetica. A cominciare dallo spazio visivo fino al ben più complesso spazio sociale, si tratta di una questione di apertura mentale e di libertà.


Proseguendo nell'analisi formale: nella recente produzione di auto a tre volumi, si osserva che la sagoma dell'oggetto tende a salire man mano che scorre dalla parte anteriore verso quella posteriore. Tutte le automobili di recente progettazione mostrano una tendenza del genere più o meno accentuata: Fiat Croma /Tempra /Tipo /Alfa 33 /164 /155 /Volvo 460 /850 /Lancia Dedra /Thema /BMW 3 /Peugeot /SEAT Toledo /Mercedes.
Oltre alle ragioni funzionali di natura aerodinamica, a me pare che il fenomeno riveli un'interessante valenza di carattere visivo che cercherò ora di spiegare.

Fig. L: se prima la linea era del tipo raffigurato con la sagoma in alto, ora (sagoma in basso) il baricentro dell'oggetto tende a collocarsi sempre più verso la parte posteriore.
Anche da ferma, sembra che la sagoma dell'automobile sia la risultante del suo stesso movimento che fa scivolare la massa verso il retro.
Quando osserviamo l'auto muoversi, l'accumulo di massa sul retro segnala una crescita di volume là dove l'oggetto, cioè a dire lo spazio pieno, stà per diventare repentinamente spazio vuoto. Mentre passa, lo spazio dell'oggetto tende ad aumentare cioè a suggerire un lieve accenno di permanenza.
Lo spazio immediatamente successivo al passaggio di un'automobile è davanti a noi improvvisamente vuoto ma psicologicamente ancora intriso di energia.
È come se quell'oggetto in rapido movimento occupasse per un istante il nostro campo d'osservazione trasportandolo poi via con sè. Così per ogni oggetto che passa. Uno dopo l'altro. Un fenomeno che tende a frammentare il campo visivo dell'osservatore. La crescita di volume sul retro segnala un virtuale riequilibrio fra spazio pieno e spazio vuoto, fra oggetto ed oggetto successivo.


In Fiat Croma l'aumento di volume è rimarcato dalla linea di cesura del cofano posteriore che stabilisce un profilo disegnato oltre il quale la massa sembra continuare (Fig. M). Lo stesso si può osservare nella seconda versione di Fiat Uno.
In Alfa 164 (Fig. B) la linea laterale cresce di spessore mentre scorre verso il retro dove tutto il volume appare in crescita.
Mentre l'oggetto sfugge in senso orizzontale, il suo volume cresce sensibilmente in senso verticale
.
Questa tensione verticale sembra voler controbilanciare per un istante la predominante direzione orizzontale del flusso di oggetti in movimento.
La pulsione verticale interna al volume può essere vista come una proiezione dell'osservatore sull'oggetto osservato.
Si direbbe che, mentre scorre, il volume dell'oggetto aumenti per effetto della nostra osservazione (Fig. N).
La crescita di volume è ancor più evidente nell'evoluzione della linea delle motociclette dove la tendenza verso l'alto nella parte posteriore è ancora più accentuata.


Anche in Y10 abbiamo osservato una linea che sale. (Fig. F).
Qui non solo lo spazio aumenta ma sembra voler proseguire virtualmente oltre il limite stesso dell'oggetto.
Guardando il volume in rapido movimento, e seguendo la linea obliqua, l'occhio apre uno spazio che non si richiude sull'oggetto stesso ma che tende invece a restare aperto.
Sul retro, il lato nero taglia perpendicolarmente un volume in crescita ed essendo di un colore diverso da quello della scocca, appare come un elemento estraneo che diventa quasi un diaframma fra volume e spazio, fra pieno e vuoto. La scocca (in questo caso bianca) inizia, scorre verso l'alto ma non si richiude. Sembra quasi che senza quel diaframma il volume bianco potrebbe continuare ininterrottamente (Fig. O).
Già da ferma Y10 evoca quel processo di trasformazione che qualsiasi tipo di volume subisce nel momento in cui da uno stato immobile passa ad uno stato dinamico: la parte anteriore diventa sul retro una scia.
Y10 non trascina con sè una statica e precostituita porzione di spazio (la simmetrica forma chiusa delle auto precedenti). La sua forma esprime già lo spazio generato da ogni oggetto che si muove. Spazio statico e spazio dinamico, cioè a dire essere e divenire, sono qui del tutto compenetrati.


La leggera curvatura del tetto evoca una richiusura del volume che si compie oltre l'oggetto stesso, nello spazio "vuoto"; quello spazio che dopo il rapido passaggio dell'oggetto è ancora intriso di energia psicologica.
Lo sviluppo del volume pieno esprime in forma armonica lo spazio "vuoto" che l'oggetto mobile lascia dietro di sè.
Il baricentro non è più all'interno dell'oggetto ma stà ora fra oggetto e spazio, pieno e vuoto.


Una simmetria virtuale si genera qui fra pieno e vuoto il che significa che la forma di Y10 induce a considerare pieno e vuoto come aspetti diversi di una stessa sostanza.
Questa idea costituisce uno dei fondamenti dello spazio plastico cubista che ha rivoluzionato la pittura nel corso del Novecento. È una fondamentale questione di natura filosofica e spirituale espressa in termini plastici e calata nel quotidiano spazio della città.


Con l'aumento di volume sul retro ma soprattutto con Y10, il nostro campo visivo tende a non coincidere più con il simmetrico e statico baricentro di ogni singolo oggetto per tante volte quanti sono gli oggetti che ci passano davanti; il campo visivo si viene invece a trovare in equilibrio dinamico fra volume pieno e continuità dello spazio.
Da uno spazio inteso come addizione di singoli e ripetuti segni chiusi (Fig. P 1) ad uno spazio concepito come integrazione di segni aperti (Fig. P 2) che, sintetizzandosi, diventano parti di una più ampia virtuale unità (Fig. P 3) che è, o meglio, sarà la futura architettura mobile della città.


Ciò va ovviamente inteso come una potenzialità e non certo come uno spazio già attuato. Uno spazio della coscienza ancor prima che della realtà esterna. Un modo di vedere i rapporti fra le parti ed il «tutto» dove il tutto è allo stesso tempo parte.


Si sono prese qui ad esempio delle automobili ma ciò vale anche per altri oggetti interagenti sulla scena urbana.


Ciò che mi preme evidenziare non è la bella linea di alcuni oggetti, in questo caso delle automobili. Non interessa qui la loro forma in sé, isolata dal continuum e considerata nel suo aspetto statico. Non è solo una questione di design. Interessa, piuttosto, la forma dell'oggetto in relazione all'insieme. Ogni automobile inizia un po' prima e finisce dopo sé stessa. È questo spazio probabile e mai del tutto certo che vorrei tentare di mettere a fuoco e - mutatis mutandis - trattarlo come si è trattato lo spazio dell'architettura costruita. Con tutte le conseguenti diverse implicazioni che in questa sede non è possibile approfondire.


Si diceva all'inizio della necessità di rendere più duraturo un paesaggio in continua trasformazione come quello attuale. Ad esempio, uniformando parti diverse secondo proporzioni costanti. Anche, facendo in modo che oggetti diversi appaiano come variazione di una stessa cosa.
Il fatto che oggi molte automobili si assomiglino mi sembra un indizio promettente. Forse un giorno i vari costruttori collaboreranno attivamente al paesaggio comune che oggi di fatto già creano.
Si diceva anche della sovrabbondanza di particolari che inibisce una visione d'insieme. Limitandoci ad uno degli aspetti caratterizzanti della città odierna, quale l'automobile, si è voluto mostrare come con la semplificazione ed integrazione dei particolari la frammentarietà si possa trasformare in continuità ed il molteplice tenda a diventare uno. Le singole unità si pongono a loro volta come parti di un'estensione più ampia.
Vedere le parti come un tutto e quel tutto a sua volta come parte induce la nostra mente - più o meno consapevolmente - a pensare in termini di relazioni più che di singole entità in sé, vedere le parti nel contesto, contemplare il divenire più che l'essere e l'intrinseca unità di pieno e di vuoto.
Io credo che tutto ciò equivalga oggi a fare della filosofia. Una filosofia dell'occhio prima ancora che della parola. Una filosofia tutta calata nel quotidiano, concreta e socialmente utile.
Certamente, lo spazio prodotto da Alfa 164 o da Y10, che ho solo tentato di descrivere ma che a parole non si lascia del tutto esprimere, è uno spazio che va osservato ed assimilato. Solo allora, ogni oggetto che passa riaccende quella serie di rapporti che nell'insieme danno vita ad un passaggio armonico. Nell'attimo ci confrontiamo con uno spazio in rapida mutazione ma che tuttavia mantiene il nostro occhio in felice equilibrio fra molteplice ed uno, asimmetrico e simmetrico, dinamico e relativamente statico; equilibrio che è condizione fondamentale di ogni spazio armonico. Ma soprattutto, nell'attimo ritroviamo tutto lo spazio dell'oggetto e, con esso, il tempo.
È anche vero che nell'affollato contesto attuale i volumi esaminati risultano pur sempre infinitesimi che non riescono ancora a produrre nel loro insieme quel tipo di spazio che ogni oggetto singolarmente già esprime. E non parliamo neanche degli aspetti negativi quali la sovrabbondanza di veicoli, il pessimo uso delle tecnologie a disposizione (la questione diventerebbe etica), il rapporto con le preesistenze storiche, l'inquinamento. Credo tuttavia che sul piano visivo , che qui più di altri interessa, quei volumi esprimano delle potenzialità che se saranno con il tempo sviluppate, potranno coinvolgere i volumi semoventi e quelli immobili, le immagini tridimensionali e quelle bidimensionali (immagini stradali e televisive), in un nuovo progetto della città.
Si è parlato di spazio molteplice e spazio unitario; si è detto dell'esigenza di rendere più costante la continua variazione presente sulla scena urbana per poter dar vita ad un più equilibrato rapporto fra spazio esterno e spazio della coscienza. Si è accennato all'esigenza di dinamizzare il pensiero che, sarà forse necessario precisare, non significa accelerare lo spazio antico e tendenzialmente statico, basato sul punto di vista unico (lo spazio prospettico e tutte le sue varianti su cui ancora in larga parte si fonda la nostra visione comune) poiché ciò produrrebbe (come di fatto avviene) distorsioni a catena di fronte ad un paesaggio che nel frattempo si è fortemente dinamizzato.
Qui stà, a mio giudizio, una delle fondamentali contraddizioni del nostro tempo: Viviamo ritmi che non sappiamo ancora rappresentarci plasticamente in forma armonica. Pensiamo in forme arcaiche uno spaziotempo nuovo che noi stessi tutti i giorni creiamo con i nostri ritmi di vita. Sarebbe utile invece sviluppare ed educare ad una visione di per sè idonea a rappresentare un universo complesso ed in continua trasformazione.


C'è un dipinto in grado di fornire preziose indicazioni in tal senso ed è il Broadway Boogie Woogie di Piet Mondrian. Un dipinto cosiddetto astratto che proprio in quanto tale descrive allo stesso tempo le realtà naturali e quelle artificiali (realtà prodotte dall'uomo, ma se l'uomo è natura..?) nelle quali sempre più viviamo.
Un tempo la pittura riusciva ad essere visione del mondo ed io credo che con Mondrian ciò sia nuovamente possibile.
Come ho già avuto modo di spiegare sulle pagine di questa rivista, il Broadway Boogie Woogie offre un'affascinante chiave di lettura per visualizzare e comprendere le dinamiche, complesse e spesso contraddittorie realtà del presente.
Il Maestro olandese suggeriva provocatoriamente di abolire l'arte e realizzare la bellezza nella vita reale. L'arte non sarebbe più stata necessaria una volta che le armonie evocate dalla pittura si fossero potute concretamente realizzare fra gli uomini. Guardandosi intorno bisogna constatare che ci vorrà molto tempo ancora e tuttavia qualche buon indizio è già presente.
Mondrian non aveva fretta e non si aspettava di vedere presto realizzato il mondo a cui pensava. Egli era ben consapevole del fatto che nella vita, oltre alla creatività ed alle capacità tecniche, valgono soprattutto fattori economici, politici, etici, religiosi e capiva dunque come i progressi reali sarebbero stati necessariamente molto lenti. Altri credono invece che certi cambiamenti possano avvenire rapidamente e non esitano a dichiarare fallito un progetto quando agl'indomani ne vedono solo gli inizi. E non mancano quelli che, più o meno in buona fede, credono davvero di poter costruire il futuro con le Neo, Trans e Post.
Il progetto moderno prefigurato dai Maestri dell'arte astratto-concreta fu qualche cosa di più di una moda. Nel caso di Mondrian, non fu solo questione estetica ma, allo stesso tempo, questione etica e sociale. Molto ci sarebbe da spiegare sui rapporti fra il Broadway Boogie Woogie e la realtà odierna, società civile, città ed automobili comprese. Ma soprattutto, lo spazio di Mondrian è questione spirituale. Aspetto questo che mi sembra non sia stato ancora veramente compreso.
A dire il vero, guardandosi intorno viene il sospetto che il moderno non solo non sia stato superato ma che, nelle sue implicazioni più profonde e soprattutto in questo paese, esso debba ancora iniziare.


Michael Sciam


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