scritti teorici / imprevedibili sentieri dell'arte (pubblicato sul quotidiano l'unione sarda il 4 agosto 1996)

Mi sono trovato in Sardegna durante il mese di Aprile ed ho scoperto che Sardegna vuol dire non solo natura ma anche cultura.
Non mi riferisco qui alla storia ed alla tradizione. Mi è parso che Sardegna volesse dire anche presente e soprattutto futuro.
Quasi per caso mi sono trovato all'Ex-Ma di Cagliari dove con mio grande stupore ho trovato una mostra di pittura astratto-concreta che aveva lo spessore delle grandi mostre che ogni tanto capita di vedere. Opere intelligenti e gioiose; una geometria viva che parlava della natura e dell'uomo. Dei suoi bisogni di punti fermi e di certezza ed allo stesso tempo del suo desiderio di aprire, avventurarsi, scoprire. Geometrie instabili sapientemente giocate con il colore. In quel lavoro mi è parso di ritrovare lo spessore della grande tradizione moderna. Ed ero a Cagliari, non a Parigi o a New York.


Chi scrive ha vissuto a New York City per cinque anni ed altri cinque li ha passati a Berlino.
Ho poi incontrato una pittrice che abita a Carbonia. Ho visitato il suo studio. Anche lei ha capito che in pittura, così come nella vita, la realtà è preferibile al realismo, la creazione all'imitazione. Ed a S.Antioco, un paesino di poche migliaia di abitanti ho scoperto un gruppo di persone legate da un comune interesse per l'arte moderna. Gli ho parlato di Piet Mondrian ed hanno capito.
Di queste persone non faccio i nomi, poiché lo scopo di queste mie righe non è quello di esaltare singoli individui ma piuttosto quello di rendere omaggio ad una collettività che lavora. Un lavoro che mi sembra stia crescendo come può crescere un albero, dalle radici profonde, dalla chioma varia e multiforme protesa verso il vento del domani.


La saggezza giapponese dice che la freccia "si tira", un libro "si scrive", un quadro "si dipinge". Dal punto di vista della vita individuale siamo sempre noi a fare tutto. E come siamo bravi! Ma dal punto di vista della vita universale, che poi è quella che davvero ci guida e con la quale un artista è più o meno sintonizzato, le cose "si fanno" e noi siamo solo strumenti.
Non intendo con ciò dire che tutto è gia deciso e che l'individuo non debba scegliere ed agire nel mondo; ma in questa epoca di esasperata individualità, sommersi come siamo da frammenti sparsi e scollegati, credo sia utile stimolare a vedere la relazione fra le parti, considerare ogni entità come appartenente ad un processo d'insieme; sentire la nostra azione parte di un lavoro comune. Antica questione che in termini visivi si pone come rapporto fra le parti ed il tutto.

Pittura astratto-concreta! Sono molteplici le ragioni per cui credo che sia questo oggi lo strumento migliore per comprendere ed esprimere la realtà, presente e futura. Difficile spiegare in poche righe. Si potrebbe dire: Perchè la terra non è più al centro dell'universo. Perchè mentre osservo il paesaggio vedo un'infinita varietà di forme naturali e forme artificiali; perchè mentre le osservo esse cambiano così rapidamente che non riesco più a contemplarne l'essenza. Tutto diventa superficiale e sembra durare solo per un istante.
Astrarre significa non lasciarsi distrarre dai particolari. Significa sintonizzarsi con ciò che le cose hanno in comune e perciò, ritrovare una certa essenza e durata nel mare delle mutevoli apparenze. Ritrovare la continuità e l'intrinseca unità delle cose, ma non più dal punto di osservazione statico su cui si basa la prospettiva rinascimentale e tutta la pittura cosiddetta figurativa. Astrarre significa adottare il punto di osservazione mobile che a me pare sia oggi una delle condizioni fondamentali per poter tentare di "riorganizzare il mondo".

Se la nostra esistenza è questo gioco di tensioni, equilibri raggiunti ed equilibri instabili; Se la natura è questo flusso interminabile di processi interconnessi dove forme nascono, si sviluppano e si trasformano senza sosta. Se tutto ciò è una rete virtualmente infinita che nessuna immagine dell'uomo potrà mai rendere in tutti i suoi particolari, allora, forse conviene delegare alla fotografia o alla televisione la cura dei particolari e restituire alla pittura quella sua funzione antica di cimentarsi con l'universale.
La varietà ed il divenire dell'esistenza si possono esprimere in pittura attraverso variazione e metamorfosi di forme e colori che sulla tela riproducano dei processi analoghi a quelli osservati nella vita ma senza doverli pedissequamente imitare ed esserne perciò schiavi. Astrarre significa in sostanza liberare ed ampliare lo sguardo e ciò necessariamente implica una riduzione dei dettagli a vantaggio delle grandi linee.


Forme e colori: da sempre la pittura è tutta qui. Ci sono infiniti modi di combinare forme e colori così come infinite sono le possibilità combinatorie di sette note musicali che in sè e per sè non significano proprio nulla e non assomigliano affatto alla natura; eppure basta dire Bach, Mozart, Rossini per capire che ciò che davvero importa è il come non già il cosa.
Raffaello è grande non perchè sapeva imitare le apparenze ma perchè usava certe forme e certi colori. Per le stesse ragioni noi oggi ammiriamo Matisse e Mondrian. E dire che c'è ancora chi crede che sia sufficiente riempire una tela seguendo l'istinto del momento per poter dire di aver dipinto un'opera astratta. E non mancano quelli che, più o meno in buona fede, credono di poter costruire il futuro con le neo, trans e post.
In arte come nella vita non si torna mai indietro.


Viene il dubbio che i grandi centri non sono più centri dell'arte perchè se è vero che l'arte è comunicazione, è altrettanto vero che in quei "grandi centri" non si comunica più come un tempo. In un mondo che ormai simultaneamente comunica con il proprio vicino di casa e con l'altra sponda dell'Oceano Atlantico, lo spazio si restringe e si espande in modo elastico.
Può capitare così ad un gallerista di Francoforte o di New York, il quale decida una domenica mattina di aprire la sua finestra sul mondo, di incontrare un artista di Carbonia il quale ha inserito una sua documentazione su Internet. O, viceversa, l'artista di Cagliari che, attraverso il monitor, se ne va in giro per il mondo a selezionare potenziali interlocutori. Il resto, come sempre, se deve venire verrà.


Forse il centro dell'arte è oggi un punto mobile dello spaziotempo. Il centro dell'arte non è più la Roma neoclassica dell'ottocento, la Parigi inizi del secolo o la New York degli anni ottanta. Oggi, le domande e le risposte dell'arte riguardano l'intero pianeta.
Il centro dell'arte sta forse diventando un processo, in orbita terrestre, che nasce e muore ogni qualvolta due individui o due culture stabiliscono una comunicazione. Una traiettoria, un raggio magnetico che, mi piace pensare, venga attratto dalla qualità del lavoro, si trovi esso a Place Vendome, a West Broadway o a Piazza Garibaldi.
Se penso tuttavia all'uso che facciamo dei mezzi a disposizione, devo constatare che siamo ancora ai primordi, in una condizione che oso definire primitiva. Spesso ancora le innovazioni tecnologiche diventano mode; e l'Arte ha poco a che fare con le mode, gli avvenimenti, le cronache passeggere che pure talvolta possono allietare il cammino.
Se il tuo destino è quello, l'arte è un sentiero che davanti a te prende lentissimamante forma mentre tu, senza sapere perchè, lo percorri. Dopo, soltanto dopo, la carovana dei molti osa avventurarsi; solo quando il sentiero si è fatto strada.
Sto imparando che i sentieri dell'arte passano dove meno ce li si aspetta. Certo non mi aspettavo di trovarli in modo così schietto e consistente in Sardegna. Qualcuno è forse affetto da un complesso del continente, da un senso di inferiorità rispetto ai grandi centri dell'arte mondiale. Stiano tranquilli e lavorino con entusiasmo poichè "il centro dell'arte" potrebbe passare di lì da un momento all'altro.


Michael Sciam



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